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L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NEGLI STUDI LEGALI

L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NEGLI STUDI LEGALI

Estratto dal “Notiziario Forense” del Sindacato degli Avvocati di Firenze e Toscana, n. 109 Anno XLVII del 23.12.2019 Notiziario-forense-2019.

Cercare di fare il punto sullo stato dell’innovazione tecnologica negli studi legali e sugli strumenti tecnologici nei quali gli studi legali ed i singoli professionisti dovrebbero investire, è un obiettivo assai difficile e sfuggente.

In principio era il verbo.
Senza voler risalire ad un tempo così remoto ed al primo strumento di lavoro dell’Avvocato: la voce; è innegabile che, dal secondo dopoguerra agli anni ‘90 inoltrati, la classe forense ha goduto di un lungo intervallo di pace tecnologica “guastata” da poche – ma decisive – iniezioni di tecnologia in grado di influenzare profondamente il metodo di lavoro e quindi di provocare effettivi mutamenti nella struttura interna dello studio legale e nei rapporti tra questo ed il mondo esterno.
In primis: la fotocopiatrice (che ha determinato l’estinzione della velina e della carta-carbone) e, poi, quasi contemporaneamente, la comparsa del telefax e della videoscrittura (sotto questo aspetto i primi PC non hanno avuto uguale portata innovativa: inizialmente furono considerati solo dei sistemi di videoscrittura più evoluti; il vero cambiamento si è avuto solo con la loro interconnessione mediante una rete informatica: la cosiddetta LAN1).
La successiva comparsa dei servizi email, pur semplificando enormemente il sistema di comunicazioni, verso soggetti esterni, ma anche interni, allo studio legale, non ebbe simili ricadute in quanto l’email – a differenza del telefax – non consentiva una trasmissione della comunicazione perfettamente fruibile in ambito legale e/o processuale.
La vera rivoluzione tecnologica si è infatti avuta solo con la successiva introduzione del sistema di posta elettronica certificata – la PEC – e quindi con la trasmissione di atti e documenti avente valore legale, non solo in ambito prettamente processuale, ma anche in sede stragiudiziale. L’altro grande spunto si è avuto con la massiccia diffusione degli smartphone e delle reti telematiche dagli stessi utilizzate.
A partire da tali “sdoganamenti” – e fatta eccezione per la firma digitale, il processo civile telematico e la fatturazione elettronica tutti imposti ope legis – la quantità e varietà delle innovazioni disponibili, e la loro crescente velocità di sviluppo e mutazione, è divenuta praticamente ininterrotta e per molti aspetti disorientante.
Risulta pertanto molto difficile dare indicazioni su quali strumenti tecnologici investire. Tuttavia si possono tentare alcune ipotesi.

Let the numbers talk.
Iniziamo “lasciando parlare i numeri”, come dicono gli anglosassoni. Pur senza attribuire valenza di dogma ai dati statistici, qualche cosa possiamo imparare.
Una recente ricerca condotta e pubblicata dall’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano, nell’ambito delle professioni della sfera giuridico-economica, ha accertato che l’investimento nell’innovazione tecnologica da parte degli studi professionali nel 2018 si è incrementato del 7,9% rispetto al 2017, registrando un spesa complessiva annua di circa 1,3 miliardi di euro.
Questa considerevole mole di denaro è stata spesa nella maggior parte degli studi professionali – e per chiaro effetto dell’obbligo legislativo – per la firma digitale (97%), per la fatturazione elettronica (passata dal 42% all’82%) e per l’archiviazione digitale dei documenti (47%2).
Oltrepassando il confine del law driven, gli altri settori in via di sviluppo, pur se timido, risultano essere: la conservazione digitale (45%), le VPN (le reti virtuali private3 – 44%); le videochiamate (Skype, Hangout, Slack, ecc. – 42%); gli strumenti di e-learning4 (23%), i software per il controllo di gestione (+9%), i portali per la condivisione di documenti con la clientela (+10%) e i software di gestione documentale (+7%).
Si scende invece a numeri praticamente inesistenti nel caso dell’adozione di tecnologie avanzate quali i sistemi di Business Intelligence5 (3%), la Blockchain6 (2%) e i sistemi di IA (Intelligenza artificiale7) (1%).
Sono dati che testimoniano l’esistenza di un aumento degli investimenti anche in tecnologie, estranee al dettato normativo, a sua volta collegato sia ad una corrispondente crescita della cosiddetta alfabetizzazione informatica degli studi professionali e dei singoli professionisti sia, contemporaneamente, ad una migliore comprensione sull’utilità che gli strumenti digitali possono apportare alle attività giuridico-economiche.
Risultano altresì ancora poco diffusi sia l’utilizzo di un sito internet dello studio professionale (che da alcuni anni è attestato intorno al 38%) sia la presenza degli studi sui vari social network (Facebook, Linkedin, ecc., 29%). In entrambi i casi, peraltro, la presenza sul web e sui social spessissimo si riduce alla realizzazione di una semplice vetrina dello studio, quasi completamente priva di canali di comunicazione bidirezionali tra lo studio/professionista ed il cliente/utente. Pochissime web o social pages permettono una interazione ottimale offrendo, per esempio alla platea dei clienti/utenti un’area, ad accesso riservato, dove reperire e/o depositare i documenti relativi alle pratiche/cause affidate o usufruire di una comunicazione (magari criptata) con il professionista di riferimento, ecc.
Ciò è chiaro sintomo di un approccio culturale nei confronti dell’ICT che è ancora in gestazione e che stenta a comprendere appieno la reale priorità dell’innovazione tecnologica per la crescita dello studio sotto i vari aspetti.
D’altra parte i dati raccolti dall’Osservatorio milanese hanno evidenziato una diretta correlazione tra il livello di innovazione implementato e la crescita dello studio: a bassi livelli innovazione corrisponde una crescita nel 57% dei casi; a livelli medi corrisponde una crescita nel 60% dei casi che sale al 69% qualora si siano raggiunti alti tassi di innovazione.
La spesa per l’innovazione tecnologica mediamente affrontata dagli studi professionali è stata moderata – 3.000-10.000 euro, ma, a quanto risulta dai dati, sono proprio gli studi legali che registrano le maggiori punte di investimento: 100.000/250.000 euro nel caso delle law firm più grandi, mentre gli studi di dimensioni più piccole si attestano su di un investimento medio di circa 6.000 euro annui (ma di questi, ben pochi vengono spesi in tecnologie prettamente legate alla ICT8).
In ogni caso si deve tener presente che il nostro paese è una realtà che vede, ancora oggi, il fenomeno per cui due studi legali su tre sono composti da singoli professionisti e questo rappresenta un notevole freno all’espansione dell’investimento tecnologico ed amplia anche sotto questo peculiare aspetto il divario, non solo economico, ma anche strutturale, organizzativo, tra piccoli e grandi studi, con importanti ripercussioni sulla capacità di attrazione della clientela, o perlomeno di quella parte appartenente all’ambito societario.
I dati raccolti dall’Osservatorio confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto fotografato nel progetto di ricerca “Una professione plurale. Il caso dell’avvocatura fiorentina” condotto dall’Università di Firenze e finanziato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, la cui restituzione è avvenuta nel corso dell’evento formativo “Parliamo di noi. Indagine sull’avvocatura fiorentina9”, tenutosi il 19 gennaio 2018.
Paradossalmente gli avvocati, nella ricerca dell’Osservatorio, sono i professionisti col budget più limitato ma con la crescita di spesa più significativa (+22,6%). Altro chiaro segno sia della profonda crisi che da anni colpisce la categoria, ma anche della volontà di uscire da tale impasse pur con la limitatezza di mezzi a ciò dedicabili.
Secondo il Censis il 71% degli Avvocati è fortemente insoddisfatto della propria condizione attuale che valuta molto al di sotto delle aspettative, e travolti (più che coinvolti) da una forte evoluzione dovuta proprio alla disponibilità di mezzi tecnologici: nella relazione con il cliente, nella pratica quotidiana, nella concorrenza diffusa, nella richiesta di servizi multidisciplinari, nell’organizzazione del lavoro e dello studio.
Ecco che sotto questo aspetto l’innovazione digitale dello studio, declinata sia sotto forma di acquisto di nuovi strumenti tecnologici, ma soprattutto sotto il profilo di una crescita culturale sul funzionamento e le possibilità offerte dagli strumenti medesimi, costituiscono una via – non certamente l’unica né quella predominante – per uscire dall’impasse, adeguando la portata dell’innovazione alla propria idea di professione ed ai propri valori professionali, e cessando di vivere l’innovazione tecnologica come condizione di sopravvivenza imposta dall’esterno, ope legis.

Quindi?
Dopo aver ascoltato la voce dei numeri siamo ora in grado di avanzare alcune considerazioni.
Il fattore determinante nello sviluppo dell’innovazione tecnologica del proprio studio legale richiede quindi una valutazione attenta sulla possibilità di utilizzare un percorso “personalizzato”, dovendosi intendere con questo, il rigetto di una scelta aprioristica consistente nell’acquisto, sic et simpliceter, delle soluzioni hardware/software predisposti dalla maggiori case editrici e/o software houses.
In parole più semplici il percorso innovativo deve avere un approccio “strategico”, magari anche di lungo respiro, ma in ogni caso non casuale. E ciò vale anche – ma soprattutto – per le piccole realtà professionali.
Sotto questo profilo il percorso innovativo prescinde sia dalla dimensione dello studio, sia, oltre una soglia minima, dal budget utilizzabile. Quello che veramente è, e diventa, determinante, è invece la propensione all’innovazione tecnologica.
Il percorso di innovazione tecnologica è declinabile in due diverse direzioni: investire nella cosiddetta ICT (Information and Communications Technology) nella quale rientrano l’acquisto di componenti hardware/software, oppure investire nella cd. “digital transformation” cioè nella modifica dei processi di gestione del lavoro, dello studio.
La scelta tra i due modelli non è, né può essere, aprioristica, ma deve essere il punto di arrivo di una analisi individuale della propria REALE realtà professionale e degli obiettivi futuri REALMENTE perseguibili dal professionista, dallo studio.
Il passo forse più semplice; più immediato ed anche minormente impegnativo sotto il profilo economico, richiede una riflessione sullo sfruttamento del software gestionale dello studio (e per chi non l’ha mai usato richiede una riflessione sulla opportunità della sua acquisizione).
Pochissimi professionisti – anche quelli dotati di programmi di costo elevato – ne sfruttano appieno le molteplici e reali potenzialità.
Ad oggi il gestionale viene utilizzato principalmente come agenda digitale-scadenziario, come strumento di redazione degli atti e documenti, come interfaccia PCT, come programma di gestione della fatturazione/contabilità.
Rari sono i casi in cui il software viene utilizzato per un vero e proprio “controllo di gestione” dello studio e addirittura rarissimi i casi in cui ne vengono valorizzate le enormi capacità di relazione/comunicazione con l’esterno dello studio (clienti/collaboratori/fornitori).
La scelta che appare più velocemente adottabile sembra quindi quella di orientarsi verso la creazione di un complesso hardware/software che permetta una gestione integrata dello studio realizzata completamente in cloud; o con un server proprio oppure mediante l’acquisto di uno spazio server dotato dei necessari requisiti di sicurezza (sono ormai tantissimi i soggetti fornitori sia in Italia che nell’ambito dell’Unione Europea ed a prezzi annui assolutamente abbordabili).
Tale complesso hardware/software dovrebbe permettere l’integrazione dei vari componenti necessari all’attività professionale quotidiana ed annuale dello studio: l’agenda; la gestione aggregata delle varie caselle email e PEC; l’elenco delle scadenze; la redazione di atti e documenti; la gestione del PCT; il controllo di gestione dello studio; la gestione della contabilità e quindi della fatturazione anche in forma elettronica; l’archiviazione digitale di tutti i dati prodotti; la conservazione sostitutiva di quelli soggetti a tale esigenza; ed infine un modulo CRM (Custom Relationship management).
Quest’ultimo è un componente da valorizzare con cura: ad oggi sono pochi i professionisti e gli studi che hanno implementato dei sistemi di relazione con la clientela a carattere digitale. E questi sistemi generalmente si limitano a consentire alla clientela l’accesso al relativo fascicolo e/o la verifica dello stato della pratica.
Diversamente tali moduli consentono molti altri vantaggi: la gestione quotidiana della relazione col cliente (utile specialmente con le società di medie/grandi dimensioni); il monitoraggio costante ed in tempo reale della situazione contabile e della gestione dei costi dello studio, sia per singola pratica che complessivamente. In ultimo strumenti del genere permettono, senza ulteriori complicazioni, una semplice e corretta gestione degli adempimenti GDPR (privacy) con i vari destinatari della comunicazione.
Anche per quanto riguarda l’innovazione tecnologica dello studio, come per altri aspetti della professione legale in questo momento, la sfida da affrontare è quella di riuscire a interpretare il passaggio al digitale come una opportunità per adottare soluzioni frutto della propria idea di professione e dei propri valori, invece che subirlo come uno stato di sopravvivenza imposta e regolamentata dall’esterno.

Intelligenza artificiale vs. Intelligenza professionale.

Mi permetto a questo una divagazione dal tema di questo articolo. O meglio più che una divagazione è il tentativo di gettare uno sguardo su un futuro tecnologico sociale/professionale che ad oggi non è ancora ben comprensibile, né tantomeno prevedibile nelle sue ricadute reali.
La AI (artificial intelligence) cioè l’intelligenza artificiale ha ormai fatto il suo ingresso anche nella realtà giuridica/legale. Viene usata anche in Italia (per adesso limitatamente ai grandi studi legali) e rappresenta un tema di interesse e sviluppo anche da parte del Ministero della Giustizia (anche sotto il profilo della cd giustizia predittiva, chiaramente per il considerevole risparmio che potrebbe apportare in termini di bilancio).
Mi sembra necessaria una breve premessa: non si deve confondere l’AI con l’informatizzazione – già presente in varia misura – negli studi professionali, non si deve cioè “ridurla” a una forma di informatizzazione più sofisticata, più costosa, che pertanto riguardi solo realtà professionali di rilevanti dimensioni. L’intelligenza artificiale è qualcosa di completamente diverso.
Da molte e diverse fonti – ed ormai da tempo – si adombrano scenari tetri nei quali si afferma una equivalenza tra sviluppo dell’intelligenza artificiale e scomparsa (o quasi) della professione legale, della figura dell’avvocato.
Per i pessimisti gli ingredienti ci sono tutti.
Fino ad oggi le “macchine” potevano competere con gli uomini solo sul piano delle abilità puramente fisiche, e non invece su quello delle facoltà cognitive.
In virtù di ciò le precedenti “rivoluzioni” tecnologiche se da un lato hanno decretato l’estinzione di una ampia tipologia di lavori manuali dall’altro, soprattutto nel settore dei servizi, hanno creato nuove tipologie professionali, nuovi lavori che richiedevano abilità cognitive possedute solo dagli uomini: apprendimento, analisi, comunicazione, ma – soprattutto – la comprensione delle dinamiche emotive umane.
La professione giuridica/legale (ma chiaramente non solo quella) richiede molto spesso, oltre alla conoscenza delle norme di legge sostanziali e/o processuali e quindi dei diritti/obblighi (che deve darsi per scontata, sottintesa), un ulteriore valore aggiunto: l’abilità di valutare correttamente le dinamiche emotive, i desideri, gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vertenza/controversia/trattativa.
Fino ad oggi si pensava fermamente che queste dinamiche, desideri, interessi potessero essere compresi e gestiti solo dagli umani, e ciò a causa della loro presupposta “immaterialità”. L’evoluzione della scienza, in particolare delle neuroscienze e delle biotecnologie, hanno invece appurato che emozioni, dinamiche, desideri, interessi sono in realtà una sorta di algoritmi, di tipo chimico, biologico, ma comunque algoritmi e come tali gestibili, computabili, prevedibili mediante altri algoritmi anche digitali.
Sulla scorta di ciò e con la sua utilizzazione da parte dell’intelligenza artificiale tutto è cambiato: le macchine hanno iniziato a superare le prestazioni degli uomini in un numero crescente di competenze e mansioni, inclusa la comprensione delle dinamiche emotive umane.
Sono quindi nati software in grado di acquisire una mole impressionante di documenti, in qualsiasi forma e lingua, dai quali, una volta digitalizzati, gli algoritmi riescono ad individuare fatti, circostanze ricorrenti, frasi più frequentemente utilizzate in relazione alla violazione dei diritti fondamentali, in tema i proprietà intellettuale, di valutazione del rischio di recidiva nella commissione di specifiche tipologie di reati, per valutare l’opportunità, la convenienza di acquisizioni e/o fusioni o di complesse operazioni societarie internazionali, fino a giungere alla medesima valutazione in ordine a singoli contratti di locazione, contratti di servizio, rapporti di lavoro.
Gli algoritmi relativi alla cd. giustizia predittiva assicurano – negli specifici settori del diritto nei quali finora sono stati utilizzati – un margine di errore di circa il 2%, a fronte di un margine di errore umano (magistrati/avvocati) che si attesta in una forbice compresa tra il 20/30%.
In Italia per adesso tale rischio non esiste. E’ scongiurato tra l’altro da un parere del Consiglio di Stato (il n. 1438 del 24/02/1994) che occupandosi di questioni interpretative relative al D.Lgs. 12 febbraio 1993 n. 39 (Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche) nega ogni possibilità di estendere, con regolamento attuativo, la disciplina relativa alle modalità di formazione di atti con procedure automatizzate anche ai provvedimenti giudiziari10.
Un ulteriore bastione è offerto dal tanto – ingiustamente vituperato – Codice Privacy e dal GDPR. Entrambi gli strumenti normativi escludono che un atto, un provvedimento giudiziario e/o amministrativo che implichi una valutazione del comportamento umano, possa fondarsi unicamente su un trattamento automatizzato.
Ma sono ostacoli destinati a durare?
Sono considerazioni che effettivamente possono far tremare, anche perché lo sviluppo esponenziale di tali software, degli algoritmi sui quali sono basati, permetteranno ai grandi studi legali di “ramazzare” anche quei settori di clientela che, fino ad oggi, non rivestivano per loro un interesse economicamente apprezzabile e che, fino ad oggi, hanno consentito il sopravvivere della professione svolta individualmente o con studi composti da pochi associati.
Non bisogna e no si deve però essere pessimisti. Come sempre l’innovazione reca in se’ dei vincoli, degli autolimiti. Innanzitutto la possibilità che un giudice/algoritmo possa giungere ad adottare provvedimenti dipende dalla preventiva soluzione di una assai complessa questione: la scelta delle basi su cui fondare l’algoritmo predittivo. Dovrà adottarsi una base statistica (attualmente utilizzata nei sistemi di common law) oppure dovrà essere utilizzata una base diversa?.
Con i tempi medi del nostro Parlamento nell’affrontare temi che pur se a carattere tecnologico, richiedono a monte una scelta etica, ritengo che continueremo a conoscere l’attuale modello di giustizia per moltissimi anni ancora. Se poi mettiamo in conto anche l’adozione dei decreti attuativi, magari interministeriali… renderemmo la vita molto difficile anche al miglior algoritmo predittivo.
A prescindere dalle facili battute, per cui chiedo perdono, dobbiamo essere invece ottimisti e possiamo vedere lo sviluppo tecnologico in atri termini.
L’evoluzione degli algoritmi eliminerà al professionista la fatica ed il tedio della parte più “meccanica”, più ripetitiva, della professione, dando nel contempo risalto al vero valore aggiunto dell’Avvocato: la sua prestazione intellettuale.
Gli algoritmi potranno utilmente e velocissimamente interpretare con basso margine di errore una mole enorme di documenti e quindi di informazioni, ma alla fine sarà/dovrà essere comunque l’Avvocato a trarre le conclusioni utili per l’assistito e sarà una conclusione frutto esclusivo della sua preparazione ed della sua esperienza.
Ritengo che non vi sarà la vittoria dell’intelligenza artificiale sull’intelligenza professionale, ciò che molto probabilmente si affermerà sarà una sorta di “Intelligenza aumentata”, in grado di unire entrambe e di migliorare sia la qualità della prestazione professionale sia in definitiva la stessa vita del professionista.
Certo è che tale combinazione intelligenza artificiale/avvocato importerà grande trasformazioni nel modo di vivere la professione; trasformazioni che richiederanno anche il ripensamento dei modelli formativi a partire dal livello accademico.

Conclusioni.
Mi si permetta di concludere (e mi si perdoni per questo) attingendo a piene mani alle conclusioni raggiunte nel già citato studio condotto dall’Università di Firenze: “I modi in cui avvocati e avvocate organizzano il loro lavoro, rispondono alle domande provenienti dalla clientela, strutturano le relazioni tra di loro, sono tutti processi che hanno a loro volta effetti sulla società, e concorrono a modificarla. Più ancora, la presenza attiva di questi professionisti nella vita sociale, nella politica, nell’associazionismo sociale e civile, nelle amministrazioni pubbliche e private, può contribuire a indirizzare il cambiamento, attraverso le soluzioni ai problemi via via individuate, la messa a disposizione di competenze specialistiche e di risorse cognitive, l’individuazione di percorsi innovativi.11”.
Personalmente ritengo che quanto sopra dedotto non realizzi la fotografia di una situazione meramente locale – il caso dell’Avvocatura fiorentina – ma si possa estendere ad un ambito ben più generale, oserei dire ontologico, dell’Avvocatura e che rappresenti veramente un obiettivo meritevole di azione sia sul piano individuale, che collettivo attraverso gli enti istituzionali che associativi.
Sotto il profilo della “politica forense” l’evoluzione tecnologica del settore giustizia, in special modo quella non ancora prossima dello sviluppo e dell’adozione degli algoritmi giudiziari, richiederà a noi avvocati, alle nostre associazioni una grande opera: dovremo pretendere il controllo della procedura di informatizzazione; reclamare la nostra presenza nella progettazione degli algoritmi “giudiziari”; dovremmo batterci perché sia assicurata la trasparenza degli algoritmi; dovremmo pretendere la creazione di algoritmi che assicurino la tutela dei diritti fondamentali come previsti dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali, dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
Come potete vedere ci aspettano comunque anni assolutamente interessanti.

NOTE

1 LAN (Local Area Network) rete in area locale, cioè una rete che collega fra loro computer posti nello stesso edificio.
2 Le percentuali ricomprendono sia la parte hardware che la parte software.
3 VPN (Virtual Private Network) rete virtuale di telecomunicazioni privata, tra soggetti che utilizzano, come tecnologia di trasporto, un protocollo di trasmissione pubblico e condiviso, come ad esempio la rete Internet.
4 L’uso delle tecnologie multimediali e di Internet diretto a migliorare la qualità dell’apprendimento facilitando l’accesso alle risorse e ai servizi, gli scambi in remoto e la collaborazione a distanza.
5 Espressione coniata nel 1958 da Hans Peter Luhn, ricercatore della IBM, che ricomprende l’insieme dei processi aziendali per la raccolta e l’analisi dei dati e delle informazioni strategiche; la tecnologia utilizzata per realizzare questi processi; le informazioni ottenute come risultato di questi processi. Fuori dalle realtà aziendali, nel mondo delle associazioni gli stessi processi vengono definiti “social intelligence”.
6 Struttura di dati condivisa e immutabile. È definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. La struttura è immutabile in quanto il suo contenuto una volta scritto non è più né modificabile né eliminabile, pena l’invalidazione dell’intera struttura.
7 L’Intelligenza Artificiale è diretta alla progettazione di sistemi hardware e di software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana (ad es., nelle sue forme più elementari, Apple Siri, Google assistant, Amazon Alexa, et similia).
8 ICT (Information Communication Technology): cioè l’insieme delle tecnologie che consentono il trattamento e lo scambio delle informazioni in formato digitale.
9 Franca Alacevich, Andrea Bellini e Annalisa Tonarelli: Una professione plurale. Il caso dell’avvocatura fiorentina, Firenze University Press, 2017.
10 Vi è però una deroga: ciò è invece possibile qualora sia necessario per la conclusione o esecuzione di un contratto tra l’interessato e il titolare del trattamento, oppure sia autorizzato da una legge europea o dello Stato membro, o infine sia basato sul consenso esplicito dell’interessato. Vi sono ulteriori deroghe collegate alla necessità di salvaguardare interessi pubblici in ipotesi tipiche (sicurezza pubblica; prevenzione e repressione dei reati).

Fonti.

• Franca Alacevich, Andrea Bellini e Annalisa Tonarelli: Una professione plurale. Il caso dell’avvocatura fiorentina, Firenze University Press, 2017, (Studi e saggi; 175) ISBN 978-88-6453-603-3.
• Osservatori Digital Innovation – School of Management del Politecnico di Milano, Dati, dati, dati: l’Umanesimo digitale per i Professionisti, Convegno 08.05.2019 Aula Magna Carassa e Dadda, campus Bovisa, Milano.
• Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Giunti, 2018, ISBN: 9788858779620.
• Stefano Rodotà, Iperdemocrazia, Laterza, 2004, ISBN: 9788858109502.
• Evgeny Morozov, Internet non salverà il mondo, Mondadori, 2016, ISBN: 9788852049941.
• Stefano Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Laterza, 2014, ISBN: 9788858111659.
• Neil Postman, Technopoly: The surrender of culture to technology, Vintage Books, 1992, ISBN: 9780679745402.
• Simone Arcagni, Visioni digitali, Einaudi, 2016, ISBN: 9788858421604.